Crisi dell’innovazione o crisi finanziaria?

Scritto il alle 14:32 da Danilo DT

Guest post: Kenneth Rogoff e il futuro dell’Economia. Sempre se c’è un futuro a causa del debito.

Mentre quest’ anno di crescita lenta confluisce nel prossimo, si accende il dibattito su cosa aspettarsi nei decenni a venire.

La crisi finanziaria globale è stata solo una battuta d’arresto temporanea, anche se pesante, sulla strada della crescita dei Paesi avanzati, o ha rivelato un malessere più profondo e persistente?

Di recente, alcuni scrittori, tra cui l’imprenditore Peter Thiel e l’attivista politico ed ex campione mondiale di scacchi Garry Kasparov, hanno abbracciato un’interpretazione piuttosto radicale del rallentamento dell’economia. In un libro di prossima pubblicazione, sostengono che il calo della crescita nei Paesi avanzati non dipende solo dalla crisi finanziaria, e che la loro debolezza riflette una stagnazione secolare nei settori della tecnologia e dell’innovazione. Pertanto, è improbabile che questi Paesi possano registrare una ripresa sostenuta della produttività senza cambiamenti radicali nelle politiche di innovazione.

L’economista Robert Gordon spinge questa ipotesi ancora più lontano. Egli sostiene, infatti, che il periodo di rapido progresso tecnologico che seguì la Rivoluzione industriale potrebbe rivelarsi un’eccezione alla regola della stagnazione nella storia dell’uomo. Di fatto, Gordon suggerisce che il significato delle innovazioni tecnologiche odierne non regge il confronto con scoperte del passato, tra cui l’elettricità, l’acqua corrente e il motore a scoppio, che hanno ormai più un secolo di vita.

Di recente ho discusso la tesi della stagnazione tecnologica all’Università di Oxford insieme a Thiel e Kasparov, con la partecipazione del pioniere della crittografia Mark Shuttleworth. La provocatoria domanda di Kasparov era cosa apportino di nuovo alle nostre capacità prodotti quali l’iPhone 5, visto che gran parte della scienza alla base della moderna elaborazione dati risale agli anni Settanta. Secondo Thiel, invece, il rimedio di combattere la recessione mediante l’allentamento della politica monetaria e uno stimolo fiscale iper-aggressivo cura la malattia sbagliata ed è, quindi, potenzialmente dannoso.
Quelle appena esposte sono teorie interessanti, ma numerosi elementi sembrano tuttora confermare che l’impasse dell’economia globale è principalmente il riflesso di una profonda crisi finanziaria sistemica, non di una prolungata crisi dell’innovazione.

C’è sicuramente chi sostiene che le sorgenti della scienza si stiano esaurendo, e che, a ben vedere, i gadget e le idee che ultimamente muovono il commercio globale sono perlopiù dei derivati. Tuttavia, la stragrande maggioranza dei miei colleghi scienziati, che lavora presso università prestigiose, sembra molto entusiasta dei propri progetti in settori all’avanguardia quali le nanotecnologie, le neuroscienze e l’energia. Sentono di contribuire a un cambiamento del mondo veloce come non mai. Francamente, pensando alla stagnazione dell’innovazione da economista, tendo a preoccuparmi di più della repressione delle idee da parte di monopoli arroganti, e di come le recenti modifiche che prorogano la validità dei brevetti abbiano acuito il problema.

No, la causa principale della recente recessione è senza dubbio un boom creditizio globale e il suo successivo tracollo. La grande somiglianza tra il malessere attuale e gli strascichi delle gravi crisi sistemiche del passato in tutto il mondo non è solo qualitativa. I segni della crisi sono evidenti in indicatori che spaziano dalla disoccupazione ai prezzi degli immobili, fino all’accumulo del debito. Non è un caso che l’era attuale assomigli così tanto allo scenario che scaturì da decine di gravi crisi finanziarie nel passato.

Certo, il boom creditizio stesso può affondare le radici nell’eccessivo ottimismo che circonda il potenziale di crescita economica sottinteso dalla globalizzazione e dalle nuove tecnologie. Come sottolineato nel libro Questa volta è diverso, firmato da Carmen Reinhart e dal sottoscritto, questi stati di ottimismo spesso accompagnano un’impennata del credito, e questa non è certo la prima volta che la globalizzazione e l’innovazione tecnologica giocano un ruolo centrale.

Attribuire il rallentamento in corso alla crisi finanziaria non implica l’assenza di effetti secolari a lungo termine, alcuni dei quali affondano le radici nella crisi stessa. Le contrazioni del credito quasi sempre colpiscono più duramente le piccole imprese e le start-up. Dal momento che molte delle idee e delle innovazioni migliori provengono da piccole aziende piuttosto che da imprese consolidate di grandi dimensioni, la contrazione del credito comporta inevitabilmente costi di crescita sul lungo periodo. Allo stesso tempo, si va perdendo un insieme di competenze che appartiene a lavoratori disoccupati e sottoccupati. Inoltre, anche molti giovani laureati vengono penalizzati, poiché hanno difficoltà a trovare un lavoro che valorizzi le loro competenze e, quindi, ad aumentare la loro produttività e i loro guadagni a lungo termine.

Con i governi a corto di liquidi, che rimandano interventi di infrastrutture pubbliche urgenti, anche la crescita a medio termine è destinata a soffrire. E, a prescindere dai trend tecnologici, altri trend secolari, tra cui l’invecchiamento della popolazione nella maggior parte dei Paesi avanzati, stanno penalizzando le prospettive di crescita. E se anche non ci fosse stata la crisi, i vari Paesi avrebbero dovuto apportare delle modifiche pesanti alla previdenza sociale e all’assistenza sanitaria.

Presi insieme, questi fattori lasciano presagire che la crescita del PIL resterà un punto percentuale al di sotto della soglia di normalità per un altro decennio, o forse anche di più. Se l’ipotesi di Kasparov, Thiel e Gordon è giusta, le prospettive sono ancora più cupe, e la necessità di una riforma molto più urgente. Dopo tutto, la maggior parte dei piani per uscire dalla crisi finanziaria presuppone che il progresso tecnologico fornisca una solida base per la crescita della produttività, destinata a sostenere una ripresa duratura. Le opzioni sono molto più dolorose se la torta smette di crescere velocemente.

Dunque, la causa principale del recente rallentamento è una crisi dell’innovazione o una crisi finanziaria? La risposta è forse un po’ di entrambe. Sicuramente il trauma economico degli ultimi anni riflette in primo luogo un tracollo finanziario, ma per andare avanti bisognerà occuparsi al tempo stesso anche di una serie di altri fattori che ostacola una crescita duratura.

Source: Project Syndacate

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DT

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3 commenti Commenta
kry
Scritto il 8 Dicembre 2012 at 00:19

La causa principale della crisi economico finanziaria è che il tutto resta legato al binomio dollaro-petrolio e per capirlo non serve andare all’università. La caduta del muro di berlino è la data di inizio dell’esaurimento delle sorgenti della scienza, non dobbiamo dimenticare che la maggior parte delle tecnologie prodotte erano studiate per uso militare. Altra cosa se consideriamo la crisi a livello umano in cui “viviamo” in una società ormai TOTALMENTE priva di valori e se non ci credete vi faccio un esempio molto banale: 30 anni fa sentivi le ragazzine che dicevano io se devo andare a letto con quello là lo faccio per un milione o cento milioni e si arrivava anche al miliardo mentre adesso……… ( mi voglio scusare in anticipo se qualche donna si sente offesa).

idleproc
Scritto il 8 Dicembre 2012 at 11:30

kry@finanza,

Normale l’abbassamento dei prezzi nel settore. E’ in crisi di sovrapproduzione a livello globale. Inoltre i giapponesi hanno introdotto pure la robotica. Sta andando come nel resto, crisi classica sincronizzata globalmente, agganciata a quella finanziaria dove pensavano di far profitti e soprapprofitti anche se l’economia reale era in arretramento. Di fatto, a livello finanziario, stiamo assistendo ad una redistribuzione e concentrazione dei capitali per salvarsi le chiappe e scaricare il fasullo sull’economia reale e gli esseri umani a mezzo stati ridotti ad esattori. Non stanno producendo nulla, nessun valore reale. Salvo S.Gennà la vedo bruttina. C’è grossa crisi. La risposta la devi trovare dentro di te. Soltanto che è sbajaata.

paolo41
Scritto il 8 Dicembre 2012 at 15:07

Sono sempre stato un sostenitore che le due crisi (quella della cosidetta innovazione e quella finanziaria) si sono accavallate, ma hanno origini sostanzialmente diverse.
La prima trova le sue fondamenta nel processo di globalizzazione industriale trasformatosi poi in pura delocalizzazione delle produzioni verso i paesi a costo unitario di prodotto più basso.
La tecnologia di processo è, per natura, facilmente trasferibile; per quella di prodotto occorre trovare un tessuto tecnico e culturale appropriato, ma anche questo è sviluppabile in un breve lasso di tempo (India docet!!).
E’ altrettanto vero che, salvo il progressivo sviluppo dell’elettronica in vari campi di applicazione, non abbiamo assistito, nell’ultimo mezzo secolo, a clamorosi breaktrough tecnologici ( con qualche riserva in campo medico).
D’altra parte basta guardare ai premi Nobel che sono stati assegnati nel periodo sopra indicato e ci accorgiamo che non ci sono stati esempi eclatanti che hanno sconvolto il mondo industriale, nella sua accezione più generale.
In campo industriale si possono identificare tre aspetti significativi: la continua ricerca di aumento della produttività, l’immissione sul mercato di prodotti più performanti e di qualità superiore, l’accelerazione dei tempi per introdurre sempre nuovi prodotti in sostituzione dei precedenti.
L’apertura di nuovi mercati e di nuove sedi produttive ha generato sovracapacità produttive che si sono tradotte in perdite di lavoro per i paesi che basavano la loro industria in prodotti scarsamente barrierati tecnologicamente e con costi per unità di prodotto scarsamente competitivi.
Per quanto riguarda specificatamente l’Italia, l’entrata nell’euro è equivalsa ad una mazzata sul collo, ma di questo ne abbiamo parlato già mille volte.
La crisi finanziaria, è noto a tutti, è partita con le liberizzazioni concesse al sistema bancario e finanziario statunitense ed è progredita in parallelo alla crisi industriale, senza tuttavia avere , almeno inizialmente, punti in comune. Nei vari momenti in cui le due crisi sono venute in contatto si sono amplificate le fasi recessive, salvo poi continuare a influenzarsi l’un l’altra e senza avere la possibilità l’una di attenuare o salvare l’altra e viceversa.
E non si intravedono, al momento, con lo scenario economico e geopolitico attuale, possibilità di soluzioni nel medio termine e tanto più nel breve.

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