CRISI Argentina: i nodi vengono al pettine. Una dura lezione anche per chi spera nel ritorno alla Lira

Scritto il alle 14:50 da Danilo DT

Chiarezza e trasparenza. E’ quello che è sempre mancato a chi ha creduto nell’Argentina anche dopo la rinegoziazione del debito. Un paese che ha sempre nascosto alla comunità internazionale il reale stato delle cose e che oggi si trova in una condizione veramente critica.
Ma…il “reale stato delle cose”…com’è?
Vi riporto qui di seguito un’intervista che il giornalista Alessandro D’Amato di Giornalettismo  ha fatto al suo preparato collega blogger (anche blogger) Mario Seminerio, del blog Phastidio.

Credo possa esservi molto utile una lettura attenta sia per meglio capire le dinamiche di Buenos Aires e non solo. Infatti sono evidenti i riferimenti a coloro che inneggiano al ritorno della sovranità monetaria in Italia, senza però sapere che è anche necessaria una gestione del fenomeno che molto probabilmente, oggi, sarebbe profondamente fallace nel nostro paese.

Quali sono le criticità della situazione che il governo non ha previsto o sottovalutato? Lei ha parlato di “prigione valutaria” e di crack al rallentatore a proposito del caso Argentina. La previsione così funesta dell’epoca è il quadro più probabile per il futuro prossimo di Buenos Aires?

Il governo argentino ha perpetuato il mito della espansione permanente dell’economia, e della liberazione da ogni e qualsiasi vincolo, interno ed esterno. Una politica fiscale fortemente espansiva, modellata sul mito del dare tutto a tutti, ha finito col creare ovvie pressioni inflazionistiche. Da quel momento, il governo argentino ha deciso di rifiutare la realtà: anziché attuare politiche fiscali più restrittive e più in generale ristrutturare l’economia in senso di maggiore produttività, si è preferito mettere le mani sulla banca centrale, che ha perso la propria autonomia ed è stata dapprima razziata delle proprie riserve ed in seguito è stata costretta a stampare moneta per finanziare crescenti deficit pubblici. A questo punto, come ovvio e prevedibile, l’inflazione ha posto radici e si è sviluppata. Ma il governo, ancora una volta, ha negato la realtà ed ha iniziato ad alterare i dati di inflazione, segnalandola in crescita di circa il 10% annuale quando rilevatori indipendenti (che sono poi stati oggetto di pesanti intimidazioni governative) la cifravano al 25-30%. Non è un caso che i contratti collettivi di lavoro si chiudano con accordi per aumenti salariali del 25-30%: quello è il livello necessario a tutelare il potere d’acquisto. A questo punto la popolazione, resasi conto che i propri pesos stavano divenendo carta straccia, ha cominciato a incettare dollari nei modi più fantasiosi, incluso il turismo. Il governo ha reagito ponendo limiti progressivi sempre più rigidi e grotteschi alle transazioni in dollari, per cercare di evitare il deflusso di riserve valutarie. Infatti, nel frattempo, l’inflazione aveva eroso la competitività del paese, che ha cominciato a segnare un deficit delle partite correnti, cioè deflusso di valuta. Quando ci si trova in queste condizioni e si rifiuta di accettare la realtà (cioè adeguare il cambio), una delle prime cose che accadono è lo sviluppo di un fiorente mercato nero valutario, e così è avvenuto. Ora le riserve valutarie sono al lumicino, ed il governo argentino sta per essere travolto dalla realtà, cioè sarà costretto a lasciare fluttuare liberamente il cambio del peso, che sinora è stato in regime di fluttuazione amministrata, quello che si chiama crawling peg, col dollaro. Da questo punto in avanti saranno guai molto seri per la popolazione, che verrà travolta dall’inflazione importata e dal caos sociale e politico conseguente.

E la speculazione brutta, sporca e cattiva? Che ruolo ha avuto nell’attuale situazione?

La “speculazione” non esiste, nel caso argentino. O meglio, “speculatori” sono i suoi cittadini, che cercano disperatamente di mettere i propri risparmi ed il proprio potere d’acquisto in qualcosa che non sia carta straccia o altro tipo di carta dall’uso relativo all’igiene personale.

Si parla di un Fondo Monetario Internazionale pronto a tornare ad aiutare il paese. E’ la strada giusta?

In realtà, il FMI ha messo in mora il paese minacciandolo di espulsione, se non avesse ripristinato la realtà sul calcolo dell’inflazione. La scadenza dell’ultimatum si avvicina ed il governo di Buenos Aires, in chiaro affanno (per usare un eufemismo), ha promesso di adeguarsi. Vedremo, ma al momento tenderei ad escludere un “salvataggio” da parte del FMI.

Nel dibattito politico italiano viene spesso citata a sproposito: ad esempio, da Beppe Grillo il post di un lettore chiedeva di fare come l’Argentina. In cosa sbagliava?

Questo è un classico della natura miracolistica, provinciale e cialtrona del cosiddetto dibattito pubblico italiano. Si prende un paese che, a seguito di errori marchiani di politica economica (il peg rigido al dollaro), finisce col fare default, e lo si eleva a modello. Potrebbe pure andare bene, se ci si prendesse la briga di seguire l’evoluzione (o meglio, l’involuzione) successiva di quel paese, che ha finito col riprodurre nuovi ed ancor più demenziali errori di politica economica, in nome di un populismo d’accatto che considera la realtà una variabile residuale e manipolabile. Vedo che questa tradizione cialtrona del nostro dibattito pubblico ha ricevuto nuova e potente linfa vitale dalla arrivo in scena di Grillo, come se non ci fossero bastate le fiabe di Berlusconi. E così, dopo l’Argentina, abbiamo inseguito la bufala dell’Islanda che ha fatto “default controllato” e non avrebbe pagato i propri debiti, Anche queste sono purissime idiozie che si squagliano come neve al sole della realtà. Vedo che ora Grillo sta cercando di rifugiarsi in Ecuador (un po’ come fatto da Julian Assange, ma per motivazioni ben più nobili e serie), e si è trovato un nuovo modello da presentare ai gonzi di casa nostra. Un modello talmente sovrano che l’Ecuador è un paese completamente dollarizzato. Ci vuole sempre molta pazienza, diciamo.

Ma quindi con la crisi dell’Argentina è arrivata la risposta a coloro che dicono “Stampa moneta e sarai felice?”

Quella risposta viene dalla realtà, più che altro. In questa crisi globale molti hanno creduto di trovare nell’azione di espansione monetaria non convenzionale delle banche centrali la nuova pietra filosofale, ed hanno invocato questa magica “stampa” come soluzione dei mali del mondo. Le cose stanno in termini un po’ più complessi ma bisogna comprendere che oggi, con la Rete, ogni trovata da bar assurge a sacra scrittura e verità rivelata, quindi c’è solo da attendere che la realtà prenda a ceffoni questi sempliciotti che inseguono l’utopia della Felicità. C’è però da dire, nel caso argentino, che il paese, pur monetariamente sovrano, si è impiccato alla corda di un peg col dollaro che ha finito con l’amplificare distorsioni e squilibri.

Aspetti, aspetti. Ma quindi questo a suo parere significa che con il cambio flessibile l’Argentina si sarebbe salvata? Oppure lei dice che un paese con un problema di inflazione importata così evidente doveva svalutare di più o prima?

Sì e no. Avere un cambio flessibile serve ad evitare che l’eventuale accumulo di squilibri di competitività porti il paese a deflagrare sotto gli attacchi speculativi (che non sono complotti ma semplicemente test di realtà di squilibri e contraddizioni di un sistema economico). Ma anche avere un cambio perfettamente flessibile richiede disciplina di politica economica e la presa d’atto che ogni paese è inserito in un sistema di vincoli, interni ed esterni. Prendiamo la stessa Argentina: con un cambio perfettamente flessibile e non gestito in alcun modo dalle autorità nazionali, i gravi squilibri macroeconomici del paese si sarebbero tradotti in costante e crescente inflazione, che sarebbe divenuta piuttosto rapidamente iperinflazione, al limite anche con sostituzione della moneta nazionale col dollaro. Se hai un deficit fiscale ampio e crescente e pensi di ignorarlo usando la politica monetaria, è del tutto irrilevante che tu abbia cambio fisso o perfettamente flessibile. Puoi solo rinviare la resa dei conti con la realtà (noti quante volte sto usando questo termine, non è un caso), ma poi essa arriva. Ecco, direi che tutti i nuovi alchimisti che credono che basti monetizzare il deficit (perché di quello si tratta, in ultima istanza) e si possa vivere felici e contenti, magari fuggendo in un passato che non tornerà mai più, avranno un risveglio durissimo. Faccio un ulteriore esempio tratto dall’Argentina. Il governo ha detto che questo livello di svalutazione “può bastare”. Questo significa che lor signori hanno deciso che il crawling peg al dollaro resterà in essere, dopo essersi fatto questo gradone, e vissero tutti felici e contenti. Ma anche no. Questo nuovo livello del cambio verrà sfondato dall’azzeramento della residua credibilità della politica economica del governo e per il semplice motivo che questo NON E’ un livello di equilibrio. Sa dov’è il livello di equilibrio, invece, in ipotesi di cambio liberamente fluttuante? Non le fornisco un numero perché non faccio il paragnosta, ma le spiego cosa dovrebbe accadere per raggiungere quell’equilibrio. Occorrerebbe che il governo adottasse una stretta fiscale e monetaria per sopprimere domanda interna e frenare le importazioni, mentre la svalutazione opera per rilanciare l’export attraverso la ritrovata competitività. La popolazione si troverebbe alle prese con una situazione molto simile a quella greca, sul piano del contraccolpo sociale. Perché tra uno stato e l’altro dell’economia c’è sempre di mezzo una cosa chiamata transizione, che spesso è assai dolorosa. Questo dimostra ai gonzi di ogni latitudine che anche con un cambio liberamente fluttuante è pressoché impossibile sfuggire al doloroso processo di aggiustamento e di impoverimento, quando si giunge alla resa dei conti. Ma mi lasci concludere con una considerazione culturale ed antropologica…

Prego…

Abbiamo visto che esistono paesi che, posti di fronte alla necessità di politiche monetarie non convenzionali (la “stampa di moneta”) reagiscono anche con un aggiustamento di sistema nel senso di una stretta fiscale, quella che chiameremmo austerità. Ed in nessun caso questa azione monetaria si è sinora tradotta in monetizzazione esplicita del deficit. Ebbene, questi paesi sono per lo più appartenenti al mondo anglosassone, o comunque non-latino, per ricorrere ad una definizione per negazione. Poi ci sono paesi che, appena messe le mani sulla banca centrale, letteralmente impazziscono e dimostrano di avere letto ed interiorizzato nel peggiore dei modi possibili la fiaba di Pinocchio. A questo gruppo appartengono soprattutto paesi sudamericani, o comunque “latini”. A leggere alcune “soluzioni” alla nostra crisi, ferma restando la innegabile e profonda disfunzionalità dell’Eurozona, le confesso che questa bipartizione antropologica e vagamente razzista non mi sorprende affatto.

Source: Giornalettismo  – Phastidio
 
 

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Danilo DT

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24 commenti Commenta
remorez
Scritto il 28 Gennaio 2014 at 15:23

Quando si mettono dei barzellettieri/cantanti da crociera e dei comici alla guida politica di un paese gia’ problematico di suo questo e’ e sara’ il risultato finale. Gli italiani non si sono ancora resi conto del favore che gli ha fatto Monti a mettersi alla guida di una nave simile nel 2011, e di quello ancora piu’ grande che ha fatto il megalomane di Arcore di mettersi, purtroppo temporaneamente, da parte(a dirla tutta c’e’ sempre Grillo dietro l’angolo a raccoglierne l’eredita’)

mannoz
Scritto il 28 Gennaio 2014 at 15:38

bell’articolo, ma la chiosa finale non mi è piaciuta, e cq il defici/pil dell”inghilterra è al 6%, dire che non stanno monetizzando il deficit è azzardato, diciamo che dando loro le carte riescono cq a mantenere una certa credibiltà…
senza contare che l’austerità chi la paga alla fine? si può piangere dei paesi latini , non esiste una scorciatoia e son d’accordissimo , ma neanche quello anglosassone lo reputo un modello da ammirazione.

ilcuculo
Scritto il 28 Gennaio 2014 at 15:47

Chissà cosa ne pensa Bagnai ?

gioc
Scritto il 28 Gennaio 2014 at 16:08

ilcuculo@finanza,

Articolo tendenzioso. come al solito a portare acqua a chi :”SE USCIAMO DALL’EURO DOBBIAMO ANDARE A FARE LA SPESA CON LE CARIOLE”. Bagnai lo aveva previsto da mesi , puoi leggere tutto sul suo blog. Ti posso sintetizzare i concetti con la frase: “Non si svaluta una moneta debole , ma una troppo forte”. Se non ti basta c’è anche un ottimo post di Andrea Mazzalai sul tema, ampiamente esaustivo.

ilcuculo
Scritto il 28 Gennaio 2014 at 17:00

gioc@finanzaonline,

Leggo sempre il Blog di Bagnai… grazie

Scritto il 28 Gennaio 2014 at 19:11

gioc@finanzaonline,

Cmq SOTTOLINEO che è un’intervista e cmq, non avremo a fare la spesa con le cariole ma con il carretto forse si… Ma…che vuol dire? 😯 ❓ 😆

ilcuculo@finanza,

Bagnai, ultimamente ha sparato delle chicche veramente incredibili…

idleproc
Scritto il 28 Gennaio 2014 at 19:36

Dai DT…
sai perfettamente come funziona il mercato globale dei capitali, come si spostano quando non c’è il controllo in entrata e in uscita, le distorsioni economiche che provocano bolle comprese e il ruolo strategico delle banche centrali… oltre al comportamento standard delle multinazionali globali.
Non è quasi mai un vantaggio quando vengono ad “investire” da te…
A noi non è mai convenuto l’eurobidone come non sono mai convenute le cessioni di sovranità…
E’ convenuto solo alla concorrenza.
Sei troppo intelligente e competente…
Se poi intendi dire che ormai ci hanno legato mani e piedi, demoliti nella politica estera, come realtà strategica politico-economica e che abbiamo una classe dirigente sia politica che di apparato burocratico corrotta, di infimo livello e che non sarebbe in grado di gestire un’uscita dall’euro e dai vincoli dell’eurobidone… posso anche concordare.
Bisognerebbe mandarli via prima.
Vale anche se restiamo nell’euro, ancora di più, dato che ci spolperanno.
La politica economica Ué pereppeppè è effettivamente demenziale, pensando di giocarselela tutta sulle esportazioni…
E’ una crisi sistemica ed è appena iniziata.
Si giocano il collo.

gainhunter
Scritto il 28 Gennaio 2014 at 19:37

La svalutazione della lira in caso di non adesione all’euro sarebbe servita a compensare la svalutazione interna tedesca. Se la svalutazione monetaria viene usata come arma di difesa quando tutti gli altri svalutano è un conto, se viene usata a scopo mercantilistico è un altro e può causare inflazione. E un altro conto ancora è se viene usata per coprire i deficit.

Quindi, è vero che copiare l’Argentina è sbagliato, non è vero che tornare alla lira equivale a copiare l’Argentina, e la domanda da porre all’autore dell’articolo è: in quali condizioni una svalutazione competitiva provoca inflazione, e soprattutto tali condizioni esistono in Italia?

gainhunter
Scritto il 28 Gennaio 2014 at 19:43

idleproc@finanza,

Mi è capitato di leggere di recente articoli in merito all’importanza strategica dell’Ucraina, quindi gli interessi di farla/non farla aderire all’UE. Te lo passo come input, visto il tuo interesse per la geopolitica, nel caso non lo conoscessi già.

idleproc
Scritto il 28 Gennaio 2014 at 19:51

gainhunter,

…grazie ma è da un pezzo…

idleproc
Scritto il 28 Gennaio 2014 at 20:14

Sul piano globale, a livello finanziario, concordo solo coi fondi sovrani di investimento che implicano accordi politico-strategici di sviluppo di lungo periodo tra stati o gruppi di stati nel reciproco interesse.
L’andazzo attuale senza controllo sulla circolazione dei capitali è quello delle cavallette… vedi Irlanda, Spagna… e l’attuale e futuro di molti EM.

andmoney
Scritto il 28 Gennaio 2014 at 20:18

Quindi “peg col dollaro” non vi dice niente?

john_ludd
Scritto il 28 Gennaio 2014 at 20:34

L’euro breakup lo vuole la Bundesbank e herr Wiedmann è una ragazzo molto sveglio con una abile strategia mentre intorno non vedo nessuna strategia. Non scommetto contro chi mi sembra più intelligente degli altri.

idleproc
Scritto il 28 Gennaio 2014 at 20:55

john_ludd@finanza,

Concordo. Altrimenti non ci sarebbe stata nessuna dichiarazione della Buba.
Lo hanno sempre desiderato, l’euro glielo hanno imposto come gli hanno imposto l’europa.
Un desiderio di indipendenza e sovranità del tutto legittimo, non c’è niente di male se i crucchi amano sentirsi crucchi. Se vado in Germania mi piace trovare il loro modo di essere anche nella differenziazione socio-economica, come mi piace trovare il modo di essere di americani, francesi, russi e di altri paesi asiatici o del medio oriente.
Non è stato un “nazionalismo” culturalmente legittimo e di identità economica e sociale a generare la WWII.
E’ stato altro e se ne stanno mettendo le basi…
Noi non abbiamo nessuna strategia, non si sono nemmeno preoccupati di preventivare una exit-strategy come normalmente si fa quando si fanno scelte come quelle che hanno fatto sottobanco.
Tecnicamente siamo fregati ma non è mai troppo tardi.

gioc
Scritto il 28 Gennaio 2014 at 21:04

“Una dura lezione anche per chi spera nel ritorno alla Lira” . Un titolo che dice tutto. La nostra colpa è non aver fatto le “riforme strutturali”. Qualcuno mi dovrebbe spiegare quali , visto che a me viene da tradurre “deflazione salariale”. Quelle proposte dall’Elettrolux , per intenderci. Qualcuno mi deve spiegare come fa la Polonia, che ha svalutato , eccome se ha svalutato , a comprare le materie prime con quella cavolo di moneta che ha. Lo złoty. Ma che robb’è? Ormai il destino dell’indegna classe dirigente italiana è legato alla moneta unica per questo non molleranno mai . Sarà la Francia o forse la stessa Germania a ribaltare il tavolo . Noi comunque ne usciremo con le ossa rotte.

gioc
Scritto il 28 Gennaio 2014 at 21:10

idleproc@finanza,

Che alla Germania sia stato imposto qualcosa è tutto da dimostrare. Questoèquello che ci hanno fatto credere. Se oggi sono tentati di uscire dall’Unione monetaria è perché temono di doversi accollare il costo dei danni che hanno fatto.

john_ludd
Scritto il 28 Gennaio 2014 at 21:21

gioc@finanzaonline,

il costo dei materiali non è l’unica voce del costo di un prodotto, anzi. Inoltre l’aumento di X% non si ripercuote su un analogo aumento dei costi complessivi, si chiama elasticità e sono tutti tabulati paese per paese, voce per voce. Il petrolio è aumentato 8 volte in 20 anni, la benzina meno malgrado l’aumento delle tasse. I problemi nascono quando i salari salgono meno di quanto salgono i prezzi di quello che comperi e se anche questi non salgono o persino scendono mentre i salari vengono tagliati allora si va in miseria così come sta accadendo nel nostro povero paese dove eserciti di commentatori scarsi fanno festa mentre in realtà il differenziale REALE tra Germania e Italia non è sceso nel 2013 ma salito ovvero i tedeschi stanno (un pò) meglio e noi assai peggio. Chissà forse quando taglieranno lo stipendio a Danilo in stile Electrolux si iscriverà a un corso di tango 👿

http://www.lavoce.info/spread-deflazione-bce-btpbund/

gioc
Scritto il 28 Gennaio 2014 at 21:49

john_ludd@finanza,

La risposta era per quelli della serie” Se usciamo dall’euro andiamo a fare la spesa con le cariole”. Per quello che dici , con cui concordo, riguardo al costo del lavoro inviterei tutti a prendere in mano qualche vecchio testo di filosofia del liceo e rileggersi quello che scriveva il vecchio Marx, che probabilmente la nostra sinistra non ha mai letto e che sicuramente si vergogna anche solo di nominare. Senza nulla togliere alla moderna scienza e teoria economica , gli strumenti di analisi e comprensione della crisi stanno tutti lì , nel pensiero di un vecchio filosofo dei primi del 900.

gioc
Scritto il 28 Gennaio 2014 at 21:50

Scusate della metà del 19° sec.

john_ludd
Scritto il 28 Gennaio 2014 at 22:17

gioc@finanzaonline,

ma io non sono anti euro ma neppure pro euro; preferisco tentare di occuparmi della realtà anche se ammetto che non esiste una realtà oggettiva ma solo soggettiva. Con un pò di lavoro a smantellare le proprie catene qualcosa si può fare almeno in termini relativi. Considerando la catastrofe sociale in avanzato stato in Europa tra i distinguo e i dinieghi e le sottovalutazioni di eserciti di gente che non hai mai letto un libro di storia non posso che limitarmi a ritenere molto ben fondate le legge empiriche come questa:

Stein’s Law

“If something cannot go on forever it will stop.”

e pur non essendo uno scrittore…

“The writer’s job is not to judge, but to seek to understand.”

Ernst Hemingway

idleproc
Scritto il 28 Gennaio 2014 at 23:57

gioc@finanzaonline,

Per definizione degli ex-stalinisti maturati in apparati e che hanno trasmesso sia il metodo che la prassi alla new-generation non sono in grado di comprendere Marx.
Non solo Marx. Ovviamente. Vale anche per il resto dell’economia classica, quella successiva e le dinamiche socioeconomiche. Vale anche per le ali esterne rifondate o meno.
Non lo pongo come “Assoluto” ma è una legge empirica personale del tipo di quelle ricordate da John che mi permettono di sfoltire quello che leggo, ascolto e le discussioni inutili.

mirrortrader
Scritto il 29 Gennaio 2014 at 08:59

un altro articolo tendenzioso pro euro. non se ne puo piu.

paolo41
Scritto il 29 Gennaio 2014 at 17:57

quando ci renderemo conto che siamo legati ad un nodo scorsoio che si chiama euro, valuta che vuole giustificare un insieme di popoli che di comune non hanno nulla né dal lato culturale nè da quello storico, sarà troppo tardi. Chi, come la Germania, ha saputo approfittare della situazione con un virtuale marco che si rivaluterebbe di almeno il 30% rispetto ad un’uscita dall’euro, farà carte false per non far cadere la così detta “fortezza Europa”, che di forte, diciamolo sinceramente, non ha nulla e tantomeno la moneta.
Se poi evidenziamo che la crescita tedesca, oltre ad essere contenuta rispetto ad alcuni anni fa, è dovuta sempre più a consumi interni, oppure che grosse aziende (vedi Siemens) danno segni di cominciare a soffrire la concorrenza asiatica, si pone la domanda se l’attuale sistema germanocentrico abbia valide probabilità di mantenersi nel medio termine.
D’altra parte ormai la discussione euro-si o euro-no si è estesa su vasta scala e vede esimi economisti battagliare in proposito, ognuno con più o meno valide ragioni.
Comunque una cosa è certa: l’euro è stato un grosso errore e uscirne non sarà facile, ma….. non c’è alcun nesso fra quanto sta succedendo in Argentina e la situazione italiana.
Il paragone non è calzante e assolutamente fuori luogo.

giandino
Scritto il 30 Gennaio 2014 at 21:51

Il vero problema è che se non usciamo dall’euro e svalutiamo di almeno il 35% la nostra Lira, la questione della nostra competitività si aggraverà sempre più e dovremo sempre più “massacrare” i lavoratori fino a condurli alla fame…
… Ma allora perché non si esce dall’euro?
Perché la svalutazione colpisce chi ha soldi… i ricchi…
Mentre, restando nell’euro, a pagare sono i lavoratori… i poveracci…
Vi è chiaro chi è comanda in questo paese e perché si resta nell’euro?
… Andate a chiederne conferma agli operai dell’Electrolux che a giorni potrebbero perdere lo stipendio o subirne una decurtazione…
Sono certo che molti di voi stanno pensando: ma se usciamo dall’euro e svalutiamo la lira del 35%… i nostri soldi varranno il 35% in meno e, quindi, che convenienza abbiamo ad uscire?
Giriamo la domanda: che succede se non usciamo?

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