CINA e Asia: i motivi per cui sono una certezza e non solo una promessa

Scritto il alle 15:00 da Danilo DT

La Cina è il futuro e scommetterci contro potrebbe essere un grave errore. E anche chi è più ostico sul paese asiatico non può negare il ruolo che rivestirà Pechino nei prossimi anni. La Cina cresce in modo esponenziale rispetto alle vecchie economie. E la Cina, come molte altre economie emergenti, oggi gode di una solidità che li vede addirittura “safe haven”, ovvero porti sicuri se paragonati a tanti paesi delle cosiddette “vecchie Economie” che pian piano stanno perdendo colpi.

Secondo tanti la Cina è una storia già vista, ma attenzione, occorre non generalizzare.
Stephen Roach di Morgan Stanley ci dice in 10 punti perché “CINA è diverso”.

NEW HAVEN – Il gruppo dei perplessi nei confronti della Cina è di nuovo all’attacco. Sembra arrivare ad ondate ogni tot anni, ma finora, ad anni alterni, la Cina ha sempre resistito ai suoi oppositori ed ha proseguito il suo cammino realizzando uno degli sviluppi più incredibili dell’era moderna che sembra continuare ad andare avanti.

La delirante preoccupazione di oggi rispecchia una convergenza di ansie, in particolar modo nei confronti dell’inflazione, di investimenti eccessivi, stipendi scarsi e prestiti bancari incerti. Eminenti accademici hanno sottolineato la possibilità che la Cina possa diventare vittima della temuta trappola dello stipendio medio che ha creato, in passato, gravi difficoltà a diverse nazioni in via di sviluppo.

C’è un fondo di verità nelle preoccupazioni sopra descritte, in particolar modo in relazione alle attuali problematiche legate all’inflazione. Ma derivano per gran parte da generalizzazioni mal riposte. Ecco dieci ragioni per cui non serve trarre conclusioni sull’economia della Cina attingendo da esperienze vissute da altri paesi:

Strategia. Dal 1953 la Cina ha definito i suoi macro obiettivi nel contesto di piani quinquennali con target ben definiti ed iniziative politiche mirate a raggiungere i target prefissati. Il dodicesimo piano quinquennale, l’ultimo entrato in vigore, potrebbe rappresentare un punto di svolta strategico dando il via ad un passaggio dal modello produttivo di successo degli ultimi 30 anni ad una fiorente società di consumo.

Impegno. Segnata dalla memoria passata delle proteste e rinforzata dalla Rivoluzione Culturale degli anni ’70, la leadership della Cina ha individuato come priorità la stabilità. Grazie all’impegno nei confronti della stabilità, la Cina è infatti riuscita con successo ad evitare i danni collaterali derivati dalla crisi del 2008-2009, ed ha assunto un ruolo altrettanto importante nella lotta all’inflazione, alle bolle speculative dei beni e alla qualità degenerante dei prestiti.

Gli strumenti. L’impegno della Cina nei confronti della stabilità comporta un gran vantaggio. Più di 30 anni di riforma hanno sbloccato il suo dinamismo economico, le riforme implementate su imprese e mercati finanziari sono state fondamentali e l’inizio di una serie di nuove riforme imminenti. Inoltre, la Cina ha dimostrato di aver appreso le lezioni delle crisi passate e di essere stata in grado di cambiare direzione quando necessario.

Risparmio. Un tasso di risparmio interno in eccesso pari al 50% è stato decisamente utile alla Cina. Ha creato le basi degli obblighi di investimento per lo sviluppo economico incoraggiando l’accumulo di riserve di valuta straniera che hanno protetto la Cina dagli shock esterni. Il paese è ora pronto ad assorbire parte del surplus al fine di promuovere uno spostamento della domanda interna.

Migrazione rurale-urbana. Negli ultimi trent’anni la percentuale della popolazione cinese è cresciuta dal 20 al 46%. In base alle stime dell’OCSE, altre 316 milioni di persone dovrebbero spostarsi dalla campagna verso le città nei prossimi vent’anni. Una simile ondata di urbanizzazione senza precedenti avrà la funzione di incentivare gli investimenti infrastrutturali e le attività di costruzione residenziale e commerciale. La paura di investimenti eccessivi e di città fantasma è infatti concentrata solo sull’offerta e non dà invece sufficiente peso alla domanda crescente.

Opportunità Consumo. Il consumo privato rappresenta solo il 37% del PIL cinese, la quota più bassa tra le principali economie. Focalizzandosi sulla creazione di posti di lavoro, l’aumento degli stipendi e la rete di sicurezza sociale, il dodicesimo piano quinquennale potrebbe instillare un aumento significativo del potere d’acquisto del consumatore discrezionale. Ciò potrebbe portare ad un aumento di circa il 5% nei consumi della Cina entro il 2015.

Opportunità Servizi. I servizi rappresentano solo il 43% del PIL cinese, ben al di sotto della media globale. I servizi sono una parte importante della strategia pro-consumo portata avanti dalla Cina, in particolar modo nelle transazioni industriali su larga scala come la distribuzione (all’ingrosso e al dettaglio), il trasporto interno, la logistica della catena dell’offerta, l’ospitalità ed il tempo libero. Nei prossimi cinque anni la quota dei servizi del PIL cinese potrebbe addirittura superare l’aumento previsto del 4%. Si tratta di una ricetta di crescita ad alta intensità di lavoro, tramite un utilizzo efficiente delle risorse e nel rispetto dell’ambiente, proprio quello di cui ha bisogno la Cina nella prossima fase di sviluppo.

Investimenti stranieri diretti. La Cina moderna è da lungo tempo una calamita per le multinazionali che cercano efficienza ed un appoggio nel mercato più popolato del mondo. Questi investimenti forniscono alla Cina un accesso alle tecnologie moderne ed ai sistemi di gestione e rappresentano un catalizzatore per lo sviluppo economico. L’imminente processo di riequilibrio a favore del consumo implica uno spostamento importante degli investimenti stranieri diretti, ovvero dall’industria manifatturiera a quella dei servizi, che potrebbe incentivare ulteriormente la crescita.

Educazione. La Cina ha fatto enormi passi avanti nella formazione del capitale umano. Il tasso di alfabetizzazione degli adulti è quasi pari al 95%, mentre il tasso di iscrizione alle scuole secondarie è dell’80%. Gli studenti quindicenni di Shangai si sono classificati recentemente primi a livello globale in matematica e lettura secondo gli standard del sistema metrico PISA. Il numero di laureati in ingegneria e scienza presso le università cinesi è attualmente pari a più di 1,5 milioni su base annuale. Il paese è sulla strada giusta per diventare un’economia basata sulla conoscenza e l’informazione.

Innovazione. Nel 2009 sono state registrate 280.000 richieste di brevetti in Cina classificandola al terzo posto dopo Giappone e Stati Uniti. Al momento, il paese si trova al quarto posto e sta crescendo in questo settore a livello internazionale. Allo stesso tempo, la Cina sta mirando ad ottenere una quota pari al 2,2% sulla ricerca e lo sviluppo quale parte del suo PIL entro il 2015, il doppio del 2002. Quest’obiettivo rientra nel dodicesimo piano quinquennale che è focalizzato sulle industrie strategiche emergenti fondate sull’innovazione, tra cui la conservazione energetica, la nuova generazione dell’informatica, la biotecnologia, attrezzatture manifatturiere di alto livello, energia rinnovabile, materiali e combustibili alternativi. Al momento, queste sette industrie rappresentano il 3% del PIL cinese ed il governo sta ora puntando al 15% entro il 2020, un bel passo avanti nella catena dei valori.

Jonathan Spence, storico presso l’Università di Yale, ha da tempo messo in guardia rispetto alla tendenza dell’occidente di osservare la Cina con le stesse lenti con cui vede sé stessa. Il gruppo dei perplessi ne è un esempio tipico, sebbene gli squilibri della Cina risultino effettivamente instabili ed insostenibili rispetto ai nostri standard, come ha sottolineato pubblicamente lo stesso Premier cinese Wen Jiabao.

Ma è proprio per questo che la Cina è così diversa e che prende molto sul serio tutte queste considerazioni. A differenza dell’occidente, dove il concetto stesso di strategia è diventato un ossimoro, la Cina ha adottato una struttura di transizione mirata a risolvere i suoi limiti di sostenibilità. Inoltre, a differenza dell’occidente impantanato in una situazione politica disfunzionale, ha l’impegno ed i mezzi per implementare la strategia pianificata. Non è quindi il momento di scommettere contro la Cina.

Stephen S. Roach, membro della facoltà di Yale, è Presidente non esecutivo della Morgan Stanley Asia ed autore di The Next Asia (La prossima Asia).SOURCE: www.project-syndicate.org

Quindi comprare Cina a piene mani? Beh, secondo me un po’ di equilibrio è sempre necessario, anche perché abbiamo avuto modo di vedere che qualche problemino la Cina ce l’ha anche, malgrado una competitività commerciale ed un surplus di bilancio che fanno impallidire le economie occidentali. Ricordate ad esempio il post sulle “Città fantasma”?

Bene, sembra che qualcosa inizi a trasparire anche dai cupi e poco trasparenti dati macro cinesi. Infatti ci sono previsioni governative sul mercato immobiliare dove si ipotizza un crollo del settore pari quantomeno ad un 10%

The central government will firmly stick to its tightening measures for the remainder of this year and not introduce stimulus packages to boost the housing market where transactions have plunged since late January, Nie Meisheng, head of the China Real Estate Chamber of Commerce, told a forum in Beijing over the weekend.

He expressed optimism that housing prices nationwide will fall by 10 percent on average this year as many real estate developers are facing a tight capital flow. Nie also forecast a 7 percent fall in transactions and a 10 percent drop in sales value because speculators have been squeezed out of the market by a home-purchase ban. (Source: Shanghai Daily)

Quindi tutto bene, Cina sicuramente che resta il futuro, ma una pausa globale della crescita economica non lascerà indenni anche queste super economie. E se devo essere sincero, un raffreddamento per questi paesi non può che essere un eccellente toccasana, in quanto sono aree che devono cercare di scampare una brutta bestia, difficile da domare in quanto molto spesso “importata”: si tratta dell’inflazione.

Un rallentamento della virtuosa e rapida crescita economica comporterebbe un rallentamento dell’inflazione. Senza però dimenticare che per la Cina, rallentamento significa comunque crescere a tassi ben superiori di quelli che noi, italiani, potremmo definire “virtuosi” per la nostra economia.

Quindi la Cina rappresenta il futuro, ma non visto come una promessa, bensì come una certezza. Il mondo è cambiato, le geometrie e gli equilibri macro sono cambiati, e ben presto assisteremo ad un progressivo riallineamento demografico-economico, con i paesi in via di sviluppo (demograficamente più sviluppati) che andranno ad acquistare sempre più peso politico ed economico (ben nota è la voglia di crescere a livello di importanza nelle varie organizzazioni internazionali). Prima però…una pausa di riflessione è quantomeno necessaria… A buon intenditor…

E per completare il discorso, vi propongo anche il parere di un altro importante personaggio, Michael Spence, premio Nobel in economia, e docente di economia alla Stern School of Business dell’Università di New York. Il dott. Spence dice una cosa molto importante: il modello di crescita cinese ed asiatico è un modello che farà scuola. “Dal momento che gli asiatici spingeranno la crescita verso modelli più sostenibili, invoglieranno anche altri a farlo, generando nuove tecnologie, abbassando i costi della crescita sull’ambiente e indebolendo la tesi secondo cui la leadership incorrerà in costi competitivi e in altri costi economici ma troverà scarsi vantaggi”.

Vi lascio alla lettura di questo interessante articolo intitolato: “Un nuovo modello di crescita per l’Asia”


MILANO – La percentuale di economia globale concentrata nelle mani dei mercati emergenti (soprattutto asiatici) è cresciuta costantemente negli ultimi decenni. Per i paesi dell’Asia, soprattutto nel caso di Cina e India, che rappresentano i due giganti dell’area, lo sviluppo sostenibile non sarà più una sfida globale, ma una questione nazionale riguardante le strategie di crescita. Questi fatti segnano una profonda trasformazione nella struttura globale delle strategie orientate alla sostenibilità.

Nei prossimi decenni la quasi totalità della crescita mondiale di consumo energetico, urbanizzazione, uso di automobili, viaggi in aereo ed emissioni di carbonio arriverà dalle economie emergenti. Entro la metà del secolo il numero di persone che vivranno in quelle che saranno (per allora) economie ad alto reddito crescerà, passando dal miliardo di oggi a 4,5 miliardi. Nei prossimi 30 anni il Pil globale, che si attesta attualmente a circa 60mila miliardi di dollari, triplicherà.

Se le economie emergenti cercassero di raggiungere i livelli di reddito dei paesi avanzati seguendo grossomodo lo stesso modello dei predecessori, l’impatto sulle risorse naturali e sull’ambiente sarebbe enorme, rischioso e probabilmente disastroso. Uno o più punti critici porterebbero certamente il processo a una brusca frenata. La sicurezza e i costi energetici, la qualità dell’acqua e dell’aria, il clima, gli ecosistemi sulla terra e negli oceani, la sicurezza alimentare sarebbero in pericolo.

Al momento, quasi tutte le misure standard relative alla concentrazione di potere economico globale indicano un trend in calo. Se tale situazione dovesse continuare, potremmo avere un mondo in cui ogni paese che fa leva sulle risorse naturali e sull’ambiente contribuirà a fare della sostenibilità un’importante sfida globale, dal momento che emergerebbe nella sua forma più estrema il problema del “free rider” (ossia di chi sfrutta il sistema a proprio vantaggio senza dare alcun contributo). Per evitare che questo accada, servono accordi globali che incidano sulla crescita, oltre a sistemi atti a garantire la compliance.

La tendenza relativa alla concentrazione del potere economico si invertirà tra circa dieci anni a partire da ora, a causa delle dimensioni e dei tassi di crescita di India e Cina, che insieme rappresentano quasi il 40% della popolazione mondiale. Sebbene attualmente il loro Pil combinato sia un’esigua frazione della produzione globale (circa il 15%), tale percentuale è destinata a crescere rapidamente.

Entra la metà del secolo, l’India e la Cina rappresenteranno 2,5 miliardi dei 3,5 miliardi di persone ad alto reddito che andranno a sommarsi a quelle dei paesi avanzati. Da soli, faranno quantomeno raddoppiare il Pil globale nelle prossime tre decadi, anche nel caso in cui gli altri paesi non registrassero alcuna crescita.

Per l’India e la Cina, prese singolarmente o insieme, la sostenibilità non sarà più una questione principalmente globale, bensì una sfida nazionale per la crescita a lungo termine. Gli schemi e le strategie di crescita, nonché i compromessi e le scelte che faranno in termini di stile di vita, urbanizzazione, trasporti, ambiente ed efficienza energetica, dimostreranno se le loro economie riusciranno o meno a completare la lunga transizione verso livelli di reddito avanzato.

I due paesi lo sanno. I policymaker, gli uomini d’affari e i cittadini di Cina e India (e dell’Asia a un livello più ampio) sono sempre più consapevoli del fatto che gli storici percorsi di crescita seguiti dai predecessori non funzioneranno, perché non prendono in considerazione un’economia mondiale le cui dimensioni sono triplicate.

Questi paesi dovranno quindi inventarsi nuovi schemi di crescita per raggiungere i livelli di sviluppo dei paesi avanzati. Poiché sono troppo grandi per essere “free rider”, gli stimoli relativi alla sostenibilità stanno diventando priorità nazionali. Le intuizioni si stanno rapidamente allineando alla realtà secondo cui la sostenibilità deve diventare un ingrediente fondamentale della crescita. Il vecchio modello non funzionerà.

Ovviamente, nessuno ad oggi sa in che modo perseguire la sostenibilità, viste le dimensioni triplicate (o forse più) dell’attuale economia mondiale. Questo obiettivo sarà determinato da un processo di scoperta, sperimentazione, innovazione e creatività, che lungo il percorso scenderà anche a compromessi. In ogni caso, tali questioni non saranno più ignorate, a prescindere da cosa sceglieranno di fare gli altri paesi e da quale accordo globale sarà raggiunto.

Le economie emergenti, di ampie dimensioni e ad alta crescita, godono di particolari vantaggi. Integrare la sostenibilità nelle strategie e nelle politiche di crescita è nel loro interesse ed è coerente con gli orizzonti temporali a lungo termine. Il materiale ereditato che si può trovare nei paesi avanzati, come ad esempio il modo in cui sono configurate le città, non deve essere sostituto nella stessa misura. Il 12° Piano quinquennale cinese abbassa le previsioni di crescita (al 7%) per dare “spazio” a questioni come equità, sostenibilità e ambiente. Il processo atto a riscoprire un nuovo percorso di crescita è iniziato.

Il tema della sostenibilità visto come elemento cruciale delle strategie di crescita nelle maggiori economie future del mondo è un evento straordinariamente positivo, perché indica che le esigenze, gli obiettivi e le priorità nazionali prevalgono sugli accordi internazionali.

Tutto ciò potrebbe sembrare in disaccordo con il comune buon senso. In che modo un Pil globale triplicato e un’espansione quadruplicata della popolazione mondiale ad alto reddito potrebbero essere una buona notizia, considerando quali sarebbero le implicazioni? Dipende dall’alternativa. Una lenta crescita globale gioverebbe alle risorse naturali e all’ambiente. Ma questo non avverrà, a meno che non collassino le risorse mondiali e le fondamenta ambientali. La base è un’elevata crescita dei mercati emergenti, che si può raggiungere con l’innovazione e l’aggiustamento del percorso di crescita.

Dal momento che gli asiatici spingeranno la crescita verso modelli più sostenibili, invoglieranno anche altri a farlo, generando nuove tecnologie, abbassando i costi della crescita sull’ambiente e indebolendo la tesi secondo cui la leadership incorrerà in costi competitivi e in altri costi economici ma troverà scarsi vantaggi.

Dire che i problemi del “free rider” sono passati, o che gli accordi multinazionali non sono più allettanti, sarebbe improprio. Ma un reale progresso parallelo, spinto dalla necessità e dall’interesse personale, sta divenendo il percorso più probabile in una visione di medio termine.
(Source: PS)

STAY TUNED!

DT

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5 commenti Commenta
anonimocds
Scritto il 2 Giugno 2011 at 16:45

OTTIMO collage. Io non ho dubbi sulla crescita della Cina in termini di GDP (Redditi, consumi etc etc). La demografia in primis, ma non solo, sono a suo favore per i prossimi 20 anni, il debito pubblico molto basso, i tassi di risparmio elevati, la voglia di sacrificarsi, lavorare, studiare ed emergere.

Qualche dubbio invece su bolla case, solidita’ banche e, in ultima analisi, su rendimenti dell’azionario. Penso che nei prossimi 5/10 anni la Cina rischi un grosso stop, una crisi di crescita sul modello di quella che coinvolse le Tigri Asiatiche nel 1997-98. Una crisi da surriscaldamento dell’economia che va fuori controllo. E chissá se il suo Regime, a quel punto, sará in grado sidi sopravvivere…

Non c’e’ praticamente correlazione – almeno in Occidente, tra elevata crescita del PIL e crescita dei mercati azionari (che hanno invece legami piu’ forti, ma nenache eccessivi, con gli utili di lungo periodo).

Scritto il 2 Giugno 2011 at 17:54

anonimocds,

Denghiu’! 🙂 A questo punto però mi aspetto la risposta di Gaolin!

paolo41
Scritto il 2 Giugno 2011 at 20:54

Dream Theater,

non so cosa aggiungerà il mitico Gaolin, ma hai sviluppato un notevole post (complimenti !!!), che, a mio avviso, ha sollevato molte domande e perplessità sull’evoluzione dello scenario mondiale a cui, in questo momento, è difficile dare risposte. Personalmente ero tra quelli che, due o tre anni fa, esprimevano scetticismo sulla sostenibilità dello sviluppo dell’economia cinese (aspettavo la bolla); poi ho fatto pubblica ammenda in precedenti commenti del blog, e ora propendo a dire che la Cina percorrerà ancora per anni la strada dello sviluppo.
E’ comunque più che certo che nel teatro geopolitico mondiale i cinesi hanno assunto un ruolo di primo piano….

gainhunter
Scritto il 2 Giugno 2011 at 21:53

Sembra che anche qualche gestore di fondi in mercati emergenti stia riconsiderando la Cina: io ne osservo tre, di tre gestori diversi, e mentre tutti e tre a Dicembre 2010 non avevano titoli cinesi in portafoglio (uno si era spostato su Australia e Corea del Sud, un altro su Sud America e Est Europa, il terzo invece era molto più diversificato), nei portafogli al 31.03.2011 i titoli cinesi sono ricomparsi in due di questi fondi.

gaolin
Scritto il 4 Giugno 2011 at 13:19

Solo oggi ho avuto modo di consultare I&M dopo 3 settimane di astinenza.
Sono stato sollecitato a dire la mia sull’argomento e di ciò ringrazio DM e i lettori del Blog. Siccome però la questione è abbastanza complessa sarà il caso scrivere qualcosa di più di un commento. Mi riprometto di farlo quanto prima.
Riguardo comunque l’articolo riportato, lo si può tranquillamente condividere al 100%, in modo particolare il richiamo che l’autore fa sul fatto che la Cina è molto diversa dai paesi occidentali in innumerevoli aspetti. L’errore gravissimo che fa l’occidente è di rifiutare quasi di conoscere e capire bene questo popolo.
Ne stiamo già ben pagando le conseguenze e temo proprio che la Cina sarà la potenza dominante molto prima di quanto pensa anche il ben informato Mr. Stephen Roach

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